La Filatrice
Era una donna che trasformava una massa informe di batuffoli di lana in un filo da lavorare successivamente con i ferri da calza, per ricavarne coperte, maglie, mutande, calze, ecc. Questa era una attività antichissima, la cui origine si perde nella notte dei tempi, ed era eseguita sempre allo stesso modo. Oltre alla lana la filatura a mano riguardava tutte le fibre vegetali come il cotone, la canapa, il lino. Per eseguire questo lavoro era necessaria un'ottima preparazione tramandata da madre in figlia, ed un impiego per gran parte della giornata. La donna che filava stringeva sotto l'ascella sinistra una canna che faceva da fermo con una mano, mentre con il pollice e l'indice dell'altra mano tirava un filo da batuffolo avvolto nelle cannocchia, una specie di gabbietta a doppio cono che a sua volta raccoglieva, nell'arcolaio o macinula. Con la saliva si bagnava i polpastrelli ed iniziava ad allungare il filo gradatamente, lo fermava alla punta del "fusele di legno" a forma di cono e postolo sulla gamba gli imprimeva, spingendolo, un repentino e rapido moto circolare. Il filo di lana, rafforzato dall'azione torcente che garantiva la massima consistenza, veniva fissato al fuso e il prelievo del batuffolo dalla massa continuava. I rocchetti si infilavano nei "vinchiatieddhi" e dopo si inserivano tra due cordicelle legate a due sedie disposte ad una certa distanza. Dopo si prendevano in mano contemporaneamente i fili di ogni rocchetto e si avvolgevano intorno a dei chiodi molto lunghi infissi nella parete, sia in senso verticale che orizzontale. La filatura a mano della lana fino a trent'anni fa era diffusissima nelle famiglie perché permetteva di ottenere gli indumenti necessari e nello stesso tempo di guadagnare qualche soldo.
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