La
Grecìa Salentina: Sternatia - Soleto - Zollino - Martano
- Martignano - Calimera -
Castrignano dei Greci - Meplignano - Corigliano

Il nostro viIl nostro sesto intinerario si sposta verso l'isola linguistico-culturale
convenzionalmente indicata come Grecìa salentina, costituita dai comuni di Calimera, Martano,
Martignano, Castrignano dei Greci, Corigliano d'Otranto, Soleto, Sternatia, Zollino.
Da lecce percorrendo la Strada statale 16 in direzione Maglie ci dirigiamo a
Sternatia, prima tappa di oggi. Sternatia, il cui nome potrebbe derivare dalla
forma bizantina medioevale "sterna dia chora" interpretata come "terreno",
luogo dissodato, sterrato, da ricondurre alle campagne di dissodamento intraprese
dai monaci nell’alto Medio Evo, o o dal greco dialettale "sterna" (cisterna),
e attualmente il centro dove si parla maggiormente il "Griko". Passeggiando
tra le vie della città potrmmo visitare diversi edifici sacri fra i quali
la Chiesa Madre (Parrocchiale), dedicata a Maria SS.Assunta. Iniziata nel 1700
presenta un interessante prospetto scandito da lesene, pinnacoli e chiuso da
un timpano spezzato. Alla chiesa é attaccato il Campanile del 1790, opera
di Adriano Preite. Gli altari del transetto sono attribuibili ad Emanuele Orfano.
Gli affreschi sono opera di G. Arganese. Tra gli altri edifici sacri citiamo
la Colonna dell'Osanna, sormontata da una croce e quattro basilischi, fu eretta
nel 1588 per volontà del medico M. Flaminio D’Ambrosio; il complesso
dei Domenicani, insediamento conventuale che si fa risalire al 1491-1513 e che
era intitolato a S. Maria di Tricase. Il convento fu ricostruito nel 1712. Pregevole
il portale. Attaccata vi é la chiesa con l’altare maggiore e il
pergamo lapideo degli inizi del ‘700; la Chiesa dei Caduti, In Piazza Umberto
1°, una piccola cappella settecentesca intitolata a S.Rocco con prospetto
rifatto nel 1929; la Cappella dedicata alla Vergine delle Grazie; la Cripta di
San sebastiano dove sono riconoscibili nelle decorazioni parietali S.Sebastiano
e l’Annunciazione con epigrafi greche del 1114-15 e del 1509-10; la Cripta
di San Pietro con le decorazioni parietali che risalgono al XII - XIII secolo.
L’immagine di S. Pietro é del XVIII secolo; la Cappella di San Vito.
Da visitare anche il centro storico, in buono stato di conservazione, che presenta
interessanti portali bugnati e tipiche case a corte con mignani; Palazzo Granafei
una delle residenze baronali più importanti del barocco salentino. La
costruzione é attribuita a Mauro Manieri prima del 1743. Presenta gli
affreschi interni (1775) opera di artisti tra cui Serafino Elmo; il frantoio
Ipogeo di proprietà del marchese Granafei. Esistente già prima
del 1581, testimonia l’importante produzione olearia di Sternatia; le case
a corte; Arco catalano - durazzesco, che risale alla fine del ‘400 - inizio ‘500;
Porta Filia. Da Sternatia ci spostiamo a Soleto, già centro messapico
come attestano i ritrovamenti della cinta muraria insieme a tombe, corredi ed
iscrizioni varie. Soleto fu importante sede vescovile al tempo degli imperatori
orientali. Il borgo antico (Corà) ha mantenuto l'originario impianto medioevale
caratterizzato da vie strettissime disposte ortogonalmente, su cui si affacciano
case gentilizie rinascimentali, portali di palazzi barocchi arricchiti da stemmi
e da decorazioni di insolita eleganza. Da visitare la Chiesa Matrice (Parrocchiale)
dedicata a Maria S.S. Assunta. Costruita dal copertinese Adriano Preite (1783),
conserva un fonte battesimale del ‘300 ed un pergamo ligneo del ‘700,
entrambi di pregevole fattura. Di notevole interesse le splendide dorature dell’altare
maggiore (recentemente restaurato). Alla chiesa è attaccata la famosa
guglia di Raimondello Orsini Del Balzo (1397). Anonimo è l’architetto
che realizzò l’opera con splendide bifore, cornici trilobate, la
balaustra ricamata ed il tiburio ottagonale conclusivo. Il bestiario della guglia
ed i numerosi mascheroni antropomorfi sono carichi di precisi significati allegorici;
la Chiesa delle Anime che presenta un raffinato portale barocco. Il Cristo benedicente,
posto nella lunetta, sovrasta le figure delle anime purganti; la Chiesa di S.Nicola
con il suo portale riccamente intagliato. La chiesa e l’attiguo monastero
di Santa Chiara sono opera del coriglianese Francesco Manuli; la Chiesa della
Madonna Delle Grazie, terminata nel 1614 dall’architetto neretino M. Tarantino.
Pregevole la tela della Madonna del Rosario, dipinta nel 1607 dal neretino Donato
Antonio D’Orlando ed il coro ligneo opera (nel 1757) dell’intagliatore
M.Francesco di Lequile, la Chiesa della Madonna del Carmine; la cappella di Santo
Stefano, con la sua facciata che presenta un portale tardo romanico, un rosone
e il campanile gotico a vela con bifora. Edificata probabilmente nel 1347 presenta
all’interno meravigliosi affreschi di scuola bizantina e del ‘400;
la cappella della Madonna di Leuca, edificata nel 1766 dalla famiglia Patera
di Sternatia. Anche a Soleto potremmo ammirare il Centro storico e le casa a
corte, altre a numerosi palazzi tra i quali Palazzo Attanasi, forse la vera casa
di Niceta Attanasi con portale, stemma tripartito ed iscrizione sulla cornice
del mignano; palazzo Carrozzini, con un prezioso portale; palazzo Gervasi, che
risale al ‘500, presenta un elegante portale e balcone superiore a balaustra,
stemmi ed iscrizioni; Palazzo Viva (alias Blanco o Della Zecca), dimora dell’arciprete
Nicola Viva, palazzo di via XX Settembre, risalente al ‘500, probabile
dimora del diacono Angelo Rivilla. Ha un portale bugnato con stemma ed un’iscrizione
del 1582. Nell’atrio figurano tre iscrizioni sulle architravi delle finestre;
palazzo Sergio, con portale e splendida finestra, con stemma dei Rizzo e decorazioni
simboliche; palazzo Carrozzini e Orsini; palazzo Blanco con un bellissimo portale
con mignano, finestra con iscrizione, decorazioni e pavimento della corte con
conci di ‘pietra viva’ (dolomia); palazzo Perrino.

Il nostro viDopo Soleto ci spostiamo verso Martano, fermandoci prima a Zollino. Lungo la
strada in prossimita del cavalcavia che conduce sulla strada statale 16
incontriamo la Chiesa della Madonna di Loreto che presenta pianta rettangolare,
volta
a botte e un altare originale dedicato alla Vergine con ai lati due altari
gemelli del 1800 dedicati ai SS.Cosma e Damiano e a S. Rocco. A zollino
possiamo visitare la Chiesa di S.Anna in stile barocco leccese che presenta
la facciata
con quattro grosse nicchie di Santi e portali decorati. Al suo interno
un altare originale e nella sagrestia una pregevole fonte battesimale; all'esterno
della chiesa, sulla destra, una vera di pozzo; la cappella di S.Vito, dove
spicca l'impianto medievale fra l'edilizia moderna; la cappella di S.Giovanni
ubicata nel vicinato soprannominato "Lo Cropero" che costituiva
una parte periferica dell’abitato di Zollino. Sia in pianta che in
alzato, la sua impostazione architettonica é simile a quella di San
Vito. Da Zollino ci dirigiamo verso Martano, il centro più grande
fra quelli che costituiscono la Grecìa Salentina. A circa metà strada
incontriamo l'antico villaggio di Apigliano, situato intorno alla chiesa
di San Lorenzo, visibile dalla provinciale. Attestato per la prima volta
dalle fonti nella metà del XIV secolo, ed abbandonato prima del 1537-40,
gli scavi hanno dimostrato che il villaggio esisteva già in età bizantina,
almeno dal IX-X Secolo.
Dal 1997 l'Università degli Studi di Lecce (Dipartimento di Beni Culturali),
svolge scavi archeologici al casale medievale abbandonato di Apigliano, sotto
la direzione del prof. Paul Arthur. Le testimonianze archeologiche più antiche,
salvo qualche oggetto preistorico e di età romana imperiale, riferiscono
probabilmente di un chorion o unità fiscale bizantina.
Fondazioni di muro a secco o in terra, un acciottolato, un forno per la lavorazione
del ferro ed altri rinvenimenti, attestano un insediamento già di
una certa importanza durante il X secolo. Nulla si sa, ancora, del periodo
normanno-svevo.

Il nostro viMartano, considerata un pò la capitale della Grecìa", fu
probabilmente abitata fin dall'età protostorica. D'età preistorica,
secondo l'opinione prevalente degli studiosi, il Menhir di "Santu Totaru" o
del Teofilo, all'interno dell'abitato. E' ritenuto elemento d'antichi rituali
religiosi che ebbbero luogo presso le genti Japigie all'inizio dell'Età del
Ferro (IX - VII secolo a.C.). Nel Medio Evo fu abitata da coloni trasfertisti
dalle terre orientali dell'Impero e fu tanto fortemente grecizzata che il rito
greco vi si mantenne fino al Seicento, mentre resiste ancora sulla bocca della
popolazione locale il dialetto Griko ed è ancora possibile recuperare
elementi del ricco patrimonio delle tradizioni e del folklore.
Da Martano provengono tre Codici greci dei secoli XIII - XIV acquisiti dalla
Biblioteca Ambrosiana. Fortificata dopo la riconquista aragonese di Otranto,
Martano conserva nel nucleo abitato (specie lungo le vie Catumerea e Zaca)
che fu compreso nel circuito murario, di cui sopravanzano due torri a pianta
circolare, molti esemplari episodi di cultura architettonica espressi, oltre
che dalle tipiche case a corte, da case palazzate e da veri e propri palazzetti,
edifici databili ai secoli XVI - XVIII, alcuni dei quali contrassegnati da
iscrizioni umanistiche o da riferimenti araldici. Tra questi citiamo Palazzo
Moschettini costruito tra il 1710 e il 1720. La prima cosa che risalta agli
occhi ammirando il palazzo sono sicuramente le 6 aperture che animano il primo
piano; il fastoso portale, assimetricamente collocato in facciata, e sormontato
da un lungo balcone sorretto da sette mensoloni di notevolissima potenza figurativa
ed inventiva; ben diciassette pilastrini definiscono la balaustra del balcone
che inquadra un arco stemmato che, arretrato, contiene l'apertura per l'accesso
al balcone.
Altro esemplare tipico dell'abilità costruttiva delle maestranze martanesi
e del gusto delle ricche famiglie committenti è l'elemento più caratteristico
di questo edificio: la parte terminale, specie di ballatoio sostenuto da beccatelli
e archetti pensili che si sviluppano per tutta la lunghezza della facciata
e sono uno diverso dall'altro a riprova di una capacità ideativa veramente
straordinaria. In alto nel parapetto si aprono le saettiere che servivano per
scrutare se dal mare arrivavano i soliti temutissimi Turchi; Palazzo Micali
datato 1719. Costituisce il palazzetto architettonicamente più maturo
della fiorente attività edilizia locale del primo '700. Assai simile,
specialmente nella zona inferiore, al palazzo Andrichi - Moschettini, è caratterizzato
dal lungo balcone sorretto da sei mensoloni che reggono una balaustra ornata
da splendidi motivi scolpiti. Sotto la bifora pensile si apre l'elaborato portale
con lo stemma e la data (1719). Sul capitello centrale della bifora è issata
la statua dell'Arcangelo Michele: questo pezzo di eccezionale bravura esecutiva
sembra appeso al cornicione ed è uno dei momenti migliori della secolare
esperienza costruttiva delle maestranze martanesi, il punto più alto
di equilibrio tra tecnica e fantasia; palazzo Pino, in gran parte ristrutturato
alla fine del XVIII secolo, si affaccia sulla attuale via Marconi, cioè in
una zona fuori le mura, oltre il fossato che all'epoca doveva essere già scomparso.
Ha un impianto seicentesco e avanzi di un giardino assai vasto. Il motivo
più significativo è,
tuttavia, il sistema portale-balcone-arcostemmato. Il portale può essere
dei primi decenni del XVIII secolo; più tardo (circa 1780-90) il virtuosistico
balcone traforato sostenuto da sei elaborati mensoloni, insieme perfettamente
conservato ed esemplare dell'abilità tecnica ed artistica delle maestranze
martanesi.
Sopra il balcone, quasi come una loggia poco profonda, si innalza un elaborato
arco a tre segmenti sormontato da un ricchissimo stemma che emerge su tutto
e reca un'iscrizione in caratteri greci di difficile lettura ma che probabilmente è fatta
ad arte perchè sembra riferirsi all'amore perduto di una donna che viene
chiamata Meriàtses.
In questo palazzetto sembra condensarsi tutta la grazia elegante di un secolo
ormai alla fine.
Definito col nome di "Terra" perchè circondato da mura con
fossato, torri e castello, la parte più antica di Martano rappresenta
uno dei centri più interessanti del Salento sia per l'ottimo stato di
conservazione che per la regolarissima struttura viaria ad andamento ortogonale
che permette di ritagliare isolati rettangolari le cui dimensioni non superano
i ventisei metri di lunghezza, misura che troveremo in altri centri della Grecìa
Salentina.
L'accesso all'abitato era garantito da due porte ora distrutte, messe all'estremità dell'attuale
via Roma.
Il minuto tessuto residenziale fatto non solo di piccole case a corte ma
anche di palazzetti con straordinarie soluzioni architettonico - decorative
(Portali,
balconi, finestre, colonne angolari, stemmi, etc.), è dominato dai due
enormi volumi del Castello e della Parrocchiale che costituiscono momenti tra
i più significativi della Storia dell'Arte salentine.
Dedicata all'Assunta, protettrice del paese, la Chiesa Matrice fu ricostruita
nel 1596 (sul portale si legge:"Hoc cives posuere Dei matrique dicarunt
1596"), distruggendo qualsiasi ricordo dell'antica chiesa di rito greco.
Costruita da maestranze neretine (all'epoca il protagonismo di quelle di
Martano non si era ancora affermato) che nel portale riproposero il modello
medievale
dei leoni stilofori dell'antica chiesa. Alla spoglia porzione della facciata
inferiore, contrasta la zona superiore che si presenta congestionata da angeli
aggettanti in percario equilibrio, serpi, ghirlande barocche, festoni e mascheroni,
sirene impudiche. Nelle paraste appare il motivo architettonico tipicamente
leccese della "colonna ingabbiata". L'arioso interno conserva notevoli
altari sei - settecenteschi; in quello della Santissima Annunziata possiamo
ammirare una splendida tela del pittore leccese Oronzo Tiso, della seconda
metà del '700; notevole è pure la tela dell'Immacolata, attribuita
a C.Fracanzano. Allo stesso modo, sono di notevole interesse l'alta mole
dell'organo, posto sulla porta d'ingresso, ed il ligneo soffitto decorato
nel '700 con 75
formelle ortogonali. Il modesto campanile fu completato soltanto nel 1769.
Al Seicento risalgono la chiesa di San Domenico con l'ex convento dei predicatori,
la cappella dell'Immacolata ed il palazzo Feudale.
La prima che fu fatta o rifatta nel 1652, data che si legge sul prospetto
che si è conservato nella sua originaria fisionomia, ha un prospetto
sobriamente decorato e l'interno spartito a tre navate e ornato di altari
settecenteschi.
Gli altari sono quasi tutti della prima metà del '700 ed in genere
sono tipologicamente simili a quelli delle altre chiese dei Domenicani.
Tra le numerose tele degne di attenzione, vi è quella della Circoncisione,
del primo '600, e quella della Pietà, attribuita ad A.Fracanzano e,
per alcuni, addirittura a Palma il Giovane (è la tela dell'altare maggiore
rifatto a Napoli, in marmo, nel 1752). Settecentesco è il grande organo.
L'ex convento, trasformato fin dal secolo scorso in Palazzo Municipale -
vi fu impiantato (1883) un osservatorio metereologico - prospetta sulla piazza
intitolata al naturalista Salvatore Trinchese, il cui bronzeo monumento è lavoro
di Antonio Bortone.
La cappella dell'Immacolata, il cui prospetto fu nel secolo scorso provveduto
del timpano triangolare, conserva un sontuoso altare barocco, mentre il Palazzo
Feudale, costruito da Francesco Maruli da Corigliano, ha una facciata il
cui contrappunto ornamentale è sobbriamente affidato al risalto del
portale e dell'allineamento delle finestre.
Fuori dell'abitato, lungo la via per Borgagne, sorge il seicentesco convento
di Santa Maria della Consolazione, affidato ai monaci cistercensi e costruito
dagli Alcantarini nella seconda metà del '600, sul luogo di un'antichissima
e veneratissima cappelle rurale di rito bizantino denominata "Madonna
del Ligori". La tradizione vuole che per la sua costruzione siano state
impiegate le pietre dei ruderi di due eremi abbandonati di tradizione bizantina,
San Biagio e San Nicola. L'edificio conventuale è stato notevolmente
rimaneggiato in questi ultimi decenni in seguito all'installazione dei religiosi
cistercensi. Soltanto la chiesa conserva l'aspetto originario; al suo interno è particolarmente
notevole l'elaborato altare maggiore (1691) alla cui sommità, in una
cornice ovale, è conservato l'affresco della Vergine della Consolazione.
Questa chiesa è stata recentemente sottoposta ad importanti lavori
di restauro che, tra l'altro, hanno recuperato il prezioso pavimento in mattonelle
smaltate.
Il convento è sede di una liquoreria, di una ricca biblioteca, di una
pregevole pinacoteca, dono dello storico Michele Paone, ed offre ben 70 posti
letto a quanti desiderino condividere per qualche giorno l'ordinata semplicità della
vita monastica.
Nel recinto dell'edificio vi è una fonte d'acqua purissima alla quale
chiunque può attingere.
La più grande concentrazione di edifici, realizzati tra il XIX e XX
secolo, che offrono ancora l'idea della Cultura locale della pietra, fatta
di abilità tecnica e di inventiva, si trova nella parte antica del Cimitero
comunale (via per Lecce). Se fin qui era stato il Barocco e poi il Neoclassicismo
a dimostrare la bravura delle maestranze locali, gli edifici funebri testimoniano
la capacità di adeguarsi alle nuove forme, specialmente a quelle del "liberty".
Lungo la via che unisca Martano a Martignano, troviamo la Specchia dei Mori
o "Segla tu Demoniù" situata 500 metri circa dopo il Cimitero,
sul ciglio di faglia della Serra di Martignano.
Ha base circolare, di oltre 30 metri di diametro e domina, a est, una vasta
pianura di oliveti che giunge fino alla costa idruntina.
Nelle giornate serene ed in assenza di foschia vi si possono scorgere distintamente
il mare, le eventuali navi in transito e, sullo sfondo, le montagne della
costa albanese.Fu certamente utilizzata come postazione di vedetta durante
le frequenti
incursioni piratesche che tormentarono il Salento nei secoli passati e, probabilmente,
costruita a questo scopo in epoca medievale. Non si può, tuttavia,
escludere che si tratti di un monumento funerario di epoca protostorica,
come vuole peraltro
una colorita leggenda locale.
Martignano dalle presunte origini bizantine è sorta all'incrocio di
antiche ed importanti strade che da Lecce portavano ad Otranto e da roca Vecchia
a Nardò, in una zona priva di acque sotterranee che ha costretto la
popolazione a ricorrere all'accumulo delle acque meteoriche nelle tipiche "pozzelle".
Le prime notizie storiche risalgono al XIII secolo quando gli Angioini concessero
il feudo al milite Simone de Bellovidere; ultimi feudatari furono i marchesi
Granafei allorquando le leggi napoleoniche posero fine al regime feudale.
Nella centro di Martignano possiamo ammirare la Chiesa Parrocchiale, che
ingloba la torre dell'Orologio e la torre Campanaria che nel 1684 fu ristrutturata
dal maggiore architetto del barocco leccese G.Zimbalo. La facciata monocuspidale è impreziosita
da un coronamento di archetti a forma di conchiglia, conservatosi integralmente
anche quando furono costruite in un secondo tempo, sui lati, le attigue cappelle
del Rosario e di San Pantaleone, protettore del paese. Il portale della chiesa è uno
splendido esempio del rinascimento locale. All'interno si trovano tele del
'600, un mosaico pavimentale del 1876, opera dei fratelli Peluso, un altare
scolpito nel 1705 dal celebre architetto G.Cino; nel coro è conservato
un crocifisso ligneo del XV secolo: la chiesa di S.Francesco, opera del '700:
il convento di S.Francesco, il cui ordine fu fondato nel 1611 e soppresso nel
1652, periodo al quale risale il piccolo chiostro; il convento fu chiuso nel
1806 in esecuzione dei decreti di G.Murat che disposero la soppressione degli
ordini monastici possidenti, oggi è in stato di abbandono; la cappella
Conella, eretta alla fine del'500 ed intitolata alla Vergine delle Grazie
era il luogo a cui erano affidati i figli illeggittimi (esposti); la cappella
di
S.Giovanni Battista datata 1621, che presenta una facciata monocuspide con
un piccolo campanile a vela, volta a botte con l'interno coperto da 72 metri
quadri di affreschi raffiguranti la vita del Santo.
Da Martignano ci spostimo verso Calimera (in greco "buon giorno"),
che conserva poche testimonianze delle sue origini e del rito greco.
Il casale antico, aperto, si organizza intorno alla piazza, l'agorà,
punto d'incrocio con la strada che tagliava da Roca verso Soleto e Nardò.
Il territorio rurale si presenta ricco di monumenti protostorici, in particolare
dolmen, testimonianza che l’area era abitata da tempi molto antichi.
Calimera ha condiviso le sue vicende con la vicina Martano, da cui si staccò amministrativamente
nel 1599, divenendo unità autonoma. A calimera troveremo resti di vie
antiche, di una necropoli, di neviere nel bosco molto ridotto; la chiesetta
bizantina della Madonna di Costantinopoli con un affresco del 1603; la cappella
del Crocefisso con volte affrescate e un Crocefisso ligneo; la cappella di
S. Biagio con un frantoio ipogeo. Nei giardini pubblici una stele attica del
IV secolo a.C., donata dalla città di Atene, raffigurante in un bassorilievo
il "saluto di Patroclia", testimonia un dono di amicizia e radici
comuni. Nei pressi si trova la Chiesa Parrocchiale riedificata nel 1689 sulle
rovine di una chiesa di rito greco a due navate; l'impianto planimetrico è a
croce latina con tre altari per lato, pregevoli quelli del transetto, quelli
dedicati a S. Brizio e alla Madonna del Rosario. Il portale è del 1692
con due nicchie votive ai lati, superiormente il finestrone con due cartigli
con iscrizioni dedicatorie. Nella cappella extraurbana di San Vito (aperta
soltanto il lunedì dell'Angelo) vi è un monolite che sembra sorgere
dal pavimento. È un grosso spezzone di roccia a forma di corona e, quindi,
con un grosso foro al centro. Per ottenere i benefici divini, uomini e donne
devono attraversarlo e tutti, di diversa corporatura, vi riescono. È il "foro
sacro dell'amore" vincolato alla cerimonia propiziatrice della fecondità.
L'architettura civile è costituita da alcuni palazzi tra i quali:
palazzo Montinari, che presenta un bel portale che immette in un androne
e poi in un
cortile interno con porte e finestre di bella fattura; pregevole esempio
di architettura seicentesca; palazzo Licci; palazzi De Sanctis; palazzo Colaci-Tommasi;
palazzo Murrone.
A questo punto facciamo ritorno verso Martano per trasferirci quindi a Castrignano
che la tradizione vuole fondato da popolazioni provenienti dall’Oriente
o dal nome di un centurione romano. Di sicuro fu anche abitato dai bizantini
durante la loro permanenza nel Salento dal VI all’ XI secolo. I monumenti
da visitare sono: la Parrocchiale dedicata alla M. SS. Annunziata; ricostruita
nel 1878, con la facciata in stile neoclassico e la pianta a croce latina,
sulle rovine di una chiesetta del 1575. All’ interno si presenta con
nove altari in marmo policromo e con altrettante pregevoli tele di fine ‘800
del pittore foggiano Saverio Altamura, un organo del 1900 costruito a Napoli
dal Mentasti; la cappella dell'Immacolata (1650), presenta un’unica navata
con relativo altare che conserva una grande tela della Madonna Immacolata e
un Cristo risorto ligneo. L’altare centrale viene. attribuito allo
scultore leccese G. Zimbalo; la chiesa della Madonna dell'Arcona
Si trova all’interno del cimitero e fu eretta nel 1731 sul luogo di un’antica
immagine bizantina; presenta una navata unica con due altari, il principale
dei quali in stile barocco conserva l’immagine sacra.
Da segnalare anche il castello dei Gualtieri, ristrutturato nel ‘500
come dimora baronale, sui resti dell’antica costruzione. Il castello
mostra la sua struttura medievale nel basamento scarpato e nell’esistenza
di un ampio fossato.
Sul portone d’ingresso è visibile l’arme gentilizio dei
Gualtieri, i feudatari che con maestranze martanesi procedettero alla ricostruzione
dell’edificio. Dal basamento si elevano facciate molto sobrie, interrotte
da finestre decorate sormontate da stemmi gentilizi e il Parco "Pozzelle",
oggi parco pubblico con un’estensione di circa 8000 mq., dove si trovano
ben conservati un centinaio di tipiche pozzelle coperte da un monolite calcareo
che funge da protezione e da bocca del pozzo (uccale).
A circa 2 chimetri da Castrignano troviamo Melpignano, che presenta senza
dubbio una tra le più suggestive piazze popolari del Salento, dedicata a S.
Giorgio, insolito esempio di struttura porticata realizzata appositamente per
ospitare un rinomato e fiorente mercato settimanale (fine '500) di commercianti
leccesi, baresi e perfino napoletani. Oltre alla vendita di manufatti in seta,
lana, canapa, cotone, si contrattavano olii, vini e formaggi locali. Sulla
piazza si affaccia la Chiesa Parrocchiale dedicata al citato Santo. La chiesa,
ha di originale il cinquecentesco portale con due iscrizioni: una latina, l’altra
greca. L’interno della Parrocchiale è a tre navate ed è particolarmente
interessante la soluzione della parete di fondo del coro che imita i polittici
medievali; nel coro si trovano alcuni affreschi datati 1525 (San Leonardo).
La chiesa conserva un dipinto ed una statua di Nicolò Maiorano, Vescovo
di Molfetta, dotto grecista e già bibliotecario della Vaticana; zio
di Maiorano dei Maiorani, dotto teologo e grecista, entrambi discendenti di
Roberto che, sul finire del ‘400 trascrisse molti codici greci, tra cui
la Fisica di Aristotele, che rimasero a Melpignano fino al 1606. Ma il monumento
principe dell'architettura di Melpignano è la chiesa della Vergine del
Carmelo ed il contiguo ex convento degli Agostiniani. La maestosa facciata
della chiesa, fu ricostruita nella seconda metà del ‘600 da Francesco
Manuli secondo i disegni, specialmente nella parte superiore, di Giuseppe Zimbalo
che la terminò nel 1662; l’interno, che ha il coro appartenente
alla chiesa cinquecentesca, conta decenni di abbandono e solo recentemente è stato
restaurato; conserva, purtroppo, solo opere di scultura tra cui l’altare
di San Nicola di Tolentino (1656) di Placido Boffelli di Alessano, altro grandeartefice
del Barocco Leccese; il chiostro, in via di avanzato restauro, fu ricostruito
nel 1644 e contiene moltissime iscrizioni latine. Altri monumenti da visitare
sono il palazzetto di Notar Zullino realizzato all’inizio del XVI secolo,
che reca sull’architrave di una finestra, un motto latino: “Stet
domus haec donec fluctus formica marinos ebitat et totum testudo parambulet
orbem” (Stia in piedi questa casa finchè la formica abbia bevuto
l’acqua del mare e la tartaruga compiuto il giro della Terra); il castello
Baronale ricostruito nel 1636, come si ricava dalla lunga iscrizione del coronamento;
il frantoio Ipogeo del XVII sec. completamente restaurato è visitabile
nel centro del paese; i Menhir e i Dolmen. Tra Melpignano e Cursi si estrae
la pietra locale che è meno morbida e più resistente agli agenti
atmosferici di quella tenera dei dintorni di Lecce, e dalla cava "Motta" di
Melpignano derivano (1958) vari reperti di fauna pleistocenica conservati
nel Museo di Maglie.
Ultima tappa di questo itinerario è Corigliano che sorge sulla cima
di una collina e dal glorioso passato celebrato nel castello che resistette
all'attacco dei Turchi (1480), quando apparteneva alla famiglia marchesale
dei Delli Monti. Costruito agli inizi del 1400, presenta una pianta quadrata
con quattro torrioni agli angoli e fossato intorno. La struttura interna è costituita
da un seminterrato, da un piano rialzato e da un primo e secondo piano. La
facciata venne rifatta ed abbellita nel 1667 da F. Manuli ed è uno degli
esempi barocchi più belli del Salento. Il centro Storico è in
buono stato di conservazione, ricco di edifici sacri e civili e presenta
numerose case a corte con mignano e pregevoli portali. Tra i vari palazzi
citiamo palazzo
Gervasi del 1600 che presenta il portale decorato con motivi del '500, palazzo
Episcopo, dotato di una cappella privata e con finestre decorate con motivi
del quattrocento, palazzo Gervasi, palazzo Montagna e palazzo Comi di matrice
seicentesca.